APPUNTI DI VIAGGIO
di Monica Cameroni
Queste sono le mie "impressioni di viaggio"
...
non sono scritte in italiano..
ma devono essere lette tutte d'un fiato..
senza punteggiatura..
ciauu
monica
Atterrati in terra Masai con un 747, è un cielo grigio quello del primo mattino a Nairobi… e fa pure un po freddino; il nostro autista Alì ci aspetta insieme a Gloria e Ilaria arrivate qualche ora prima…un po assonnate e infreddolite.
Ottenuta la nostra Safaricom, partiamo per la strada piena di buche verso sud, verso le praterie e l’erba gialla.
Davanti a noi una casa grande, ancora in costruzione, il pick up si specchia nella porta di specchi in mille pezzi, Teddy fa la guardia, ma diventiamo subito amici.
Una cucina accogliente, una camera tranquilla, un attimo di riposo e poi in visita al dispensario di Maria che ci spiega i farmaci, il family planning con il consultorio e i test del laboratorio che è fondamentale; prendiamo poi una zuppa medicamentosa, una notte di riposo e il vischio che ti fa bene.
Si riparte in auto verso nord… un po di km, e sosta a Nanyuki… accoglienza freddina e parole che stordiscono, che mostrano un lato ancora sconosciuto, un punto di vista non collaudato, sembra impossibile ma l’entusiasmo vacilla: facciamo visita all’orfanotrofio, contatto con i bimbi, contatto con la gente. Nel carcere dobbiamo scacciare i ragni che si sono appropriati del letto, il bagno è una latrina e la doccia non funziona, ma il bidet è eccezionale e rinvigorente. La mattina si riparte ancora verso nord, e fuori dal finestrino passano gli ananas dell’uomo del monte, il caffè, il tè e i fiori in serra. Passa la foresta tropicale e passa anche l’Equatore, e subito ci troviamo nel deserto con la sua terra arsa e rossa e le sue pietre nere.
Il pranzo da amici a Laisamis è una carne che non conosciamo, ma il caffè è buono e le collane di Bernadette coloratissime; ma Alì ci richiama subito, dobbiamo partire, faremo tardi altrimenti, per giungere a Marsabit, dalle suore dove raccogliamo un pallido Matteo che ci saluta dalla porta dice che non sta bene, che forse ha la febbre, che forse è il Lariam ed è triste. Arriva da Wamba lui ma noi ce lo porteremo a Sololo. In macchina si sta strettini e Gloria e Ilaria devono spartirsi il sedile davanti.
Il deserto è grande, arido, sassoso, caldo, vaghi miraggi sullo sfondo, carovane di cammelli all’orizzonte che però non si lasciano fotografare.
Arriviamo a Sololo alla fine della strada che è finita da tempo e ora c’è solo una pista sconnessa, ma presto anche qui arriverà l’asfalto che i cinesi lavorano sodo..e presto la finiranno.
Arriviamo a Sololo da stranieri in terra nera, bianchi per errore”.
Sololo è l’Obbitu Children Village, davanti alla montagna genupettorale, con i suoi edifici tondi e rettangolari tutti nel compound con i percorsi segnati da pietre bianche contro i serpenti e in cima alla collina, la guesthouse, quella che diverrà la nostra casa con Pino che ci aspetta sulla porta sorridente.
Benvenuti, benvenuti a casa.
Ci sistemiamo nelle camerette, conosciamo la Tumme, impariamo come si usa l’acqua, e usane poca per fare la doccia, stai nel catino così poi la riutilizziamo..
E allora si inizia, sveglia alle 5.00 con Alì che prega e sposta le sedie e piega i vestiti e poi la doccia, la sua..un po troppo forte e allora si inizia a parlare ci si alza, la colazione, il pane fatto fresco in casa, la marmellata in latta e i biscotti all’anice stellato che ci trovi sempre qualcosa… e intanto mettiamo su un altro caffè… E poi arriva Gufu e Bonaya e si va all’ospedale, facciamo un giro, visitiamo ci guardiamo intorno… conosciamo la suora di Eldoret che aspetta Walter per aggiustare il computer, che ci invita la domenica a prendere il chai che è il tè con il latte molto zuccherato… e poi un saluto a Matteo, nel theatre, i bimbi di guido e i “nostri bambini”.
Al villaggio i primi arrivano la mattina, li accogliamo e giochiamo così: e pollice avanti e pollice indietro, il fachiro Casimiro che ipnotizza la città e poi arriva la pappa, una ciotola piena a testa: tanto da starci male.
Alla sera c’è il cinema, il Lion King, e allora lì sono tutti imbambolati a guardare…e poi la cena: il riso con i fagioli, il cavolo con il salame o il salame con il risotto e il cavolo con l’avocado che ormai è molle e da buttare.
E riempi l’acqua che è quasi finita ma sa di muffo, ma tanto è il filtro perché è bollita e filtrata…ed è buona da bere con un gusto di neve.
Che dire poi di Amballo..che sballo! Pianta le tende, manca un paletto, no ma c’erano tutti… abbiamo controllato! E metti togli, gira volta..ecco fatto. Si va a cena dal chief che ci invita a casa sua, il capretto con il riso e il riso sulle mani…e gli anziani del villaggio che ci aspettano tutti; e poi la notte in tenda, gli scarafaggi da ammazzare e la terra rossa che entra dappertutto, dalle cerniere, in tenda, nel sacco a pelo.. ma che tramonto che paesaggi!
La vecchia Mzee kobe si ferma sulla strada sterrata e la corsa in ospedale con il bimbo in braccio che ora sta meglio, ma chissà poi se lui sarà il padre…?
E poi alla sera verso casa dopo la cenona da Gufu, “che te ne fai delle luci o del freno a mano…?, tanto c’hai l’altro?”
E allora su a scossoni e salti, frena che c’è un albero…”Pino, l’albero…Pino l’alberooo!”… finalmente si arriva..
Nel villaggio visitiamo i bambini, facciamo le schede, chiediamo come vanno a scuola, se sono in salute; le capanne di fango e sterco di mucca sono fatte dalle donne e ci vivono con i loro bimbi, le nonne che accolgono i nipoti dopo che hanno perso i genitori. E giriamo nelle manyatte e ascoltando le loro storie, assorbiamo questo profumo d’Africa, questi spazi immensi con le nuvole che sembra ti vengano addosso e questi colori che al tramonto tingono tutto di rosso.
E rosso di sera bel tempo si spera, così lasciamo l’Obbitu Children, con il fazzoletto stretto tra le mani e le mani che asciugano gli occhi e il cuore in gola, abbracciando chi rimane e stringendo le mani di chi si è conosciuto, anche solo per un momento.
E un ultimo sguardo ai bambini che ci inseguono correndo: “ Ciao!... ciao-ciao!”.
Così la jeep riprende la sua discesa al ritorno.. di nuovo verso sud, di nuovo oltre l’Equatore, attraversando a rovescio gli stessi mondi che prima abbiamo visto scorrere fuori dal finestrino.
Questa volta ci si ferma da Argese, l’Orso, l’architetto, l’ingegnere, il cuoco, il coltivatore, il padre, e nella sua tana riceviamo accoglienza da re, dopo aver visitato il suo sistema di approvvigionamento per l’acqua.
Torniamo a Kitengela… e i pomodori sono ancora sul terrazzo a seccare, Maria e Leo premurosi ci accolgono e stavolta con noi c’è anche Jessica, e con lei ci aspetta un pic-nic di fuoco al lago salato Magadi e una nyama choma serale con tiramisù finale.
Gli ultimi giorni li passiamo a Nairobi: lo shopping al mercato Masai con le coperte rosse, i bracciali, gli orecchini, ebano, e perline, sandali e stoffe colorate, e il safari walk con l’agile chetaah e gli spelacchiati babbuini, l’opulento rinoceronte e gli immobili coccodrilli.
Le Ivrea sisters ci accolgono per le ultime notti… per fortuna che c’è Jessica e la sera prima si fa l’happy hour con il 3x2 ma la nostra Africa l’abbiamo lasciata a Sololo e nel deserto…qui ormai non è più nostalgia andarsene.
Ripartiamo portando con noi un mondo…stringendo dentro quelle piccole “lacrime di dio” che da lontano sono volate più vicino; sentendoci un po anche noi ora “neri per amore”: sensazioni ed emozioni che ribolliscono per uscire, l’ansia di non voler ritornare alla vita di sempre, spesso un po troppo stretta rispetto a questi spazi immensi.
Non ci resta che riempire ancora un po il nostro bicchiere… per poter tornare più forti a costruire.
Lasciamo l’Africa e negli occhi abbiamo riflessi i suoi colori, l’azzurro del cielo, il rosso della terra, il nero d’ebano…