KENIA   2/1/2008   8.42 KENIA
Dalla scrivania del direttore: SPERANDO IN UN PRONTO RITORNO DELLA PACE
Pace Pace, Standard

A meno che qualcuno in Kenya o altrove nel mondo non voglia davvero una sorta di guerra civile e la destabilizzazione totale di una tessera grande e importante del complesso mosaico africano, a Mwai Kibaki e Raila Odinga - che peraltro hanno già lavorato insieme al bene del paese - non resta che trovare un modo di uscire insieme dalla crisi. Con un qualsiasi accordo, una ragionevole intesa, una dignitosa riconciliazione che spinga presto da parte tutte le forze piccole e grandi, in buona e in mala fede, interne ed esterne, dell’una e dell’altra parte, irresponsabilmente impegnate a gettare benzina sul fuoco di uno scontro in cui si agitano povertà e rabbia sociale, differenze etniche e rivalità politiche non nuove. Senza contare i discutibili atteggiamenti di chi prima ha ratificato come regolare il processo elettorale e poi ha cominciato a esprimere dubbi di brogli e frodi soprattutto in sedi non istituzionali; e senza aggiungere gli strani atteggiamenti di chi come Washington prima è corso a complimentarsi con il vincitore e il giorno dopo, sulla scia di Londra, che ha in Kenya ancora molti interessi 44 anni dopo la concessione dell’indipendenza, si è rimangiato i complimenti, è sembrato schierarsi con l’opposizione e poi poche ore fa, come esito finale, ha invoca “a spirit of compromise”, uno compromesso tra il presidente-eletto Kibaki e il suo avversario, ma già alleato politico, Odinga. E’ difficile dire se e quante siano state le irregolarità nello scrutinio o nella trasmissione e registrazione di voti; fonti della MISNA dicono da Nairobi che sembra ragionevole ammettere possibili anomalie a favore di entrambi i candidati e che quindi le veementi prese di posizione di chiunque voglia vedere frode o brogli solo da una parte costituiscono a loro volta una frode. Come peraltro spesso accade in circostanze di questo genere in Africa e altrove. Il problema vero è costituito da chi poi, sulla base di un risultato elettorale eventualmente indagabile in più modi, piuttosto che predisporsi a facilitare un’analisi intransigente ma pacata, comincia a dar fuoco a quella pericolosa miscela di differenze etniche già versata durante la campagna elettorale, di aspettative più o meno sensate di cambiamento a ogni costo, tipiche dei giovani socialmente più svantaggiati, e di altri elementi di puro scontro politico. Peggio ancora se dietro tutto questo scenario forze non africane più o meno manifeste dovessero coltivare il desiderio di un Kenya instabile nel delicato scacchiere dell’Africa orientale, in particolare considerando i 3500 chilometri circa di confine con Somalia, Etiopia, Sudan, Uganda e Tanzania. Non è poi di alcun aiuto evocare incomprensibili responsabilità governative di “genocidio” - una parola ormai inflazionata e ritenuta forse “di moda” da troppi pseudodifensori di presunti diritti umani - per la crisi seguita all’annuncio dei risultati elettorali, come ha pubblicamente fatto Odinga ribadendo anche che la manifestazione da lui convocata per domani a Uhuru park nel centro di Nairobi si terrà nonostante il divieto della polizia. Nè può avere effetti positivi evocare ripetutamente fantasmi di imminente e ineluttabile guerra civile. . .(continua) [MB]


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