“Una interpretazione semplicemente ‘etnica’ degli scontri seguiti alle elezioni keniane sarebbe fuorviante; in realtà si tratta di violenze etniche politicamente motivate”: lo ha detto alla MISNA il pastore metodista Samuel Kobia, keniano e segretario generale del World Council of Churches (in italiano Consiglio ecumenico delle Chiese), un movimento ecumenico che raccoglie 347 chiese di diverse confessioni cristiane (cattolici, protestanti, ortodossi) in 110 paesi. Secondo il religioso, sebbene ci siano differenze tra le comunità che vivono in Kenya, in particolare tra i due più numerosi gruppi etnici dei kikuyo e dei luo, è l’interferenza della politica oggi come in passato a generare meccanismi di scontro: “Non si dice che il Movimento democratico ‘Arancio’ di Raila Odinga ha perso le elezioni, ma che Raila Odinga ha perso; e così, non si parla della vittoria del Partito di unità nazionale, ma della vittoria del presidente uscente Mwai Kibaki”. Differenze semantiche di non poco conto - sostiene Kobia – perché nascondono l’essenza stessa di ciò che stiamo vedendo: “A questo punto, la soluzione è quella di avere Kibaki e Odinga pronti a sedersi a un tavolo e disposti a dialogare senza pre-condizioni; purtroppo entrambi hanno finora posto condizioni non accettabili dalla rispettiva controparte. Inoltre, da ciò che vedo e sento, so che i keniani nella loro grande maggioranza sono contro la violenza e si aspettano di essere rappresentati da una classe politica che vada oltre la semplice partigianeria per assumersi responsabilità che rispondano alle vere necessità del paese”. Per Kobia, ci saranno sicuramente problemi di carattere umanitario da qui alle prossime due settimane con carenza di generi di prima necessità e carburante dovuti al blocco delle rotte commerciali; ci potrebbero essere problemi nel breve e medio termine per l’economia. Ma a preoccuparlo sono soprattutto le ferite lasciate dalle violenze: “Le vittime delle violenze sono state soprattutto persone di etnia kikuyo; finora non ci sono state reazioni e rappresaglie, ma potrebbero esserci a Nairobi e in altre zone del Kenya centrale. Proprio per questo motivo è necessario che la temperatura del confronto politico si abbassi e che il paese si riprenda presto evitando di cadere nella trappola di confronti etnici che non sono nella natura di questo paese fin quando i politici evitano di interferire e di legare la loro carriera all’esasperazione delle differenze tra le varie comunità”. Ripartire, per il segretario del Consiglio ecumenico delle Chiese, significa inoltre essere pronti a rivedere alcune parti della Costituzione e garantire piena autonomia alla Commissione elettorale nazionale perché in futuro non si ripetano brogli e incidenti. L’invito al dialogo affidato da Kobia alla MISNA, è stato l’elemento di fondo dell’intervento dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu che oggi a Nairobi ha incontrato Kibaki e Odinga: “Questo – ha detto Tutu – è un paese che è stato a lungo considerato modello di stabilità. Adesso questa immagine è stata offuscata, non è il Kenya che tutti noi conosciamo”. Riferendo della disponibilità di Odinga e Kibaki a trattare, Tutu ha invitato i due leader politici a frenare i rispettivi sostenitori, così da coinvolgere tutti i keniani in aperture pacifiche che restaurino un clima sereno nel paese. Kibaki e Odinga non si sono però finora incontrati , mantenendo quelle pre-condizioni che – come ha detto Kobia alla MISNA – ostacolano il ritorno alla normalità: così, da una parte c’è Kibaki che vuole evitare l’intervento della comunità internazionale affidandosi alla forza di esercito e polizia, dall’altra Odinga che vincola la possibilità di trattare una soluzione negoziata all’ammissione di brogli da parte di Kibaki e alla ripetizione delle elezioni entro tre mesi. Nuove elezioni che il governo avrebbe già escluso.(a cura di Gianfranco Belgrano)[GB] |