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L’importanza dell’autofinanziamento
di Paolo Beccegato*
*Paolo Beccegato è responsabile dell’area internazionale di Caritas Italiana

estratto da: COMUNICARE LA COOPERAZIONE
monitoraggio sulla risposta dei media italiani alle sollecitazioni provenienti
dal settore della cooperazione allo sviluppo
Roma, Novembre 2005
La ricerca è stata svolta dal prof. Nicola Boccella (coordinatore) e dai dottori: Marco Bruno, Sonia Lantella, Patrizia Laurano, Azzurra Rinaldi, Federica Serra.
La stesura del rapporto è stata curata dai dottori: Marco Bruno, Patrizia Laurano, Azzurra Rinald
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“Negli ultimi decenni del Novecento lo spazio del mercato sembra aver raggiunto i confini demografici e territoriali del mondo. Agli inizi del Duemila non è rimasto alcun angolo di alcun continente, alcun gruppo umano o popolazione, le cui condizioni di vita non subiscano direttamente, per il meglio o per il peggio, l’influenza del mercato mondiale”.1

1 L.Gallino, Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, Roma – Bari, 2001.
 

L’importanza dell’autofinanziamento

Il mercato globale in virtù della forza intrinseca che risiede nella sua promessa di libertà, oltre ad avere occupato i confini demografici e territoriali del mondo, sta colonizzando l’immaginario collettivo, il pensiero e l’agire dei popoli.
Questa è la premessa da cui partire per un ragionamento sul cosiddetto terzo settore e in particolare sulle ONG e sulle cosiddette agenzie umanitarie.
Essendo questi soggetti collocati nell’area del libero mercato e quindi anch’essi sottoposti alle medesime dinamiche e logiche di sistema, diventa fondamentale ragionare innanzitutto sul ruolo che esse hanno al suo interno.
A tal proposito pare che la tendenza in atto sia quella di una progressiva incorporazione e assimilazione delle ONG nel “sistema umanitario” come pezzi di una grande macchina compensatoria che agisce, appunto, in compensazione rispetto a quella grande e ingegnosa macchina finanziaria che preleva risorse alle popolazioni più povere attraverso i meccanismi del debito estero, del commercio, della finanza internazionale, ecc.
Da questa consapevolezza occorre partire per un’analisi specifica dell’agire di ciascuno di tali soggetti.
Qui ci limiteremo a prendere in considerazione uno degli aspetti fondamentali della questione ovvero il finanziamento di tali soggetti e, in relazione ad esso, gli spazi di autonomia di cui godono.

Nella maggior parte dei casi i finanziamenti destinati alle ONG e Agenzie Umanitarie provengono
dalle Istituzioni internazionali facenti riferimento alle Nazioni Unite,
da Istituzioni sovranazionali quali l’Unione Europea,
da Istituzioni nazionali governative e
da Fondazioni private facenti riferimento solitamente a grandi gruppi finanziari.
Attraverso l’imposizione di una serie di vincoli, criteri e schemi.

I finanziamenti sono riservati a determinate aree geografiche, piani di sviluppo e progetti molto spesso funzionali a strategie e interessi diretti o indiretti dei finanziatori piuttosto che dei beneficiari.
In molti Paesi in cui Caritas Italiana ha lavorato abbiamo potuto constatare come, ad esempio, l’Unione Europea avesse interesse nel promuovere e controllare i processi di privatizzazione degli acquedotti pubblici al fine di creare le condizioni di mercato favorevoli alle imprese europee. Ebbene tale ambiente di favore era costruito con un insieme di politiche che spesso ricorrevano anche alla cooperazione delle ONG quali portatrici di progetti di sviluppo funzionali a contenere il malcontento popolare.

La casistica è infinita e appare evidente, a questo punto, l’importanza dell’autofinanziamento ovvero quella attività di raccolta popolare, “privata”, dei fondi necessari alla realizzazione dei progetti e alla sopravvivenza dell’organizzazione medesima.

In coerenza con quanto appena affermato, l’autofinanziamento ha valore non solo perché, molto spesso,
quote proprie di partecipazione finanziaria ai progetti rappresentano la condizione necessaria per ottenere il finanziamento complessivo del progetto da parte delle istituzioni donanti, ma anche per il fatto che
una disponibilità finanziaria propria consente di pianificare, realizzare e sostenere nel tempo progetti che per varie ragioni non rientrano nei parametri di selezione delle istituzioni donanti,
progetti che partano prima di tutto dal contatto con la realtà, dalla condivisione con gli ultimi, dall’ascolto e dall’osservazione dei loro bisogni.

Godere di una disponibilità finanziaria propria significa inoltre
dotarsi di un solido bilancio economico capace di sostenere i costi di gestione, compresi quelli del personale, che solitamente non trovano copertura negli schemi di finanziamento delle istituzioni donanti.
Ciò consente lo sviluppo di una progettualità più complessa e più presente nel tempo grazie alla possibilità di mantenere propri operatori in loco, dalle fasi di studio a quelle di verifica dei progetti, oltre a tutto lo staff di coordinamento e di supporto nel lavoro di amministrazione.
Consente di formare e preparare in maniera adeguata il proprio personale, garantendo i diritti del lavoro e un costante aggiornamento professionale, elementi sempre più rari nel mondo della globalizzazione, del contenimento dei costi e delle continue razionalizzazioni.

Detto ciò si arriva alla questione fondamentale, ovvero il fatto che una buona autonomia decisionale è garantita soltanto dalle proprie risorse economiche.

L’analisi dei contesti, la lettura dei bisogni, l’impostazione dei progetti, lo stile di relazione con le controparti, la realizzazione dei programmi, anche se apparentemente non può sembrare, sono intrinsecamente legati alla provenienza dei fondi.

Ma l’autonomia decisionale si gioca non solo sui progetti.
Esiste un livello più alto in cui la libertà di pensiero, di parola e di azione non possono essere sottoposte a censure finanziarie.

E’ il livello in cui le organizzazioni della società civile interpretano quel ruolo che è loro proprio nelle società democratiche ovvero di partecipazione culturale e politica, controllo popolare e democratico sulle istituzioni, proposizione di nuove iniziative volte al miglioramento della qualità della vita, ricerca della giustizia a livello locale come internazionale.
Molto spesso tutto ciò si realizza anche attraverso la proposizione di “campagne di lobbying” o “iniziative di advocacy” strumenti con i quali la società civile prende posizione su questioni, amplifica la voce di chi non ha voce e, attraverso i media, esercita pressione sui cosiddetti decisori.

Prima e imprescindibile condizione per lavorare a questo livello è,
in termini teorici, la libertà di pensiero e,
in termini pratici, l’autonomia finanziaria.

In ultimo, e per Caritas Italiana non certo per ordine di importanza, vi è la considerazione del fatto che l’autofinanziamento, se organizzato con coscienza etica, rappresenta uno strumento privilegiato per la promozione di una cultura della solidarietà e della condivisione, a partire dalla conoscenza dei problemi e dei bisogni di una vasta porzione dell’umanità.
Una solidarietà fattiva e partecipe ai drammi della gente come risposta etica e pratica sincera.

Su questo punto la constatazione della realtà, almeno quella maggiormente visibile, smentisce quanto appena affermato.

La raccolta fondi rischia di diventare sempre più spesso un mestiere affidato ad agenzie specializzate nel marketing d’impresa.
In tale contesto il progetto di cooperazione può diventare solo una merce da vendere alla stregua e in concorrenza di altre.
E’ così che si arriva alla proposizione di temi pietistici o di spettacolare drammaticità che puntano sull’emotività delle persone, sul moralismo semplificatore o sul vuoto eccentrico di alcuni personaggi televisivi.
Ciò contribuisce a consolidare la cultura del buonismo di massa come mezzo per l’addomesticamento sociale.
Il buonismo nella condotta morale così come il relativismo nell’etica, non servono ad altro che a soffocare le capacità di discernimento che invece andrebbero costruite e coltivate con pazienza attraverso seri cammini educativi.

Quando invece la campagna di finanziamento ad un progetto o ad una organizzazione si articola e si sviluppa all’interno di ragionamenti che pongono questioni sulle cause della povertà, del disagio, dell’emarginazione, dei conflitti sociali, delle guerre, delle scarsità croniche, allora essa diventa momento per la riflessione e per la presa di coscienza.

L’offerta economica al progetto diventa in questo caso segno di compassione alle sofferenze degli ultimi, segno di partecipazione alle sfide del nostro tempo, risposta di responsabilità di ciascuno nei confronti dell’altro e della terra.

Se poi, attraverso tale strumento, vi fosse quanto meno la ricerca e lo sforzo da parte dell’ ONG di creare una relazione con la persona offerente, la campagna di finanziamento diventerebbe un vero strumento educativo capace di far rivivere, pur in quest’epoca, la solidarietà fattiva e la partecipazione ai drammi della gente come la risposta etica e pratica più sincera che le persone si possono dare l’una con l’altra.

Parte di un insieme più ampio di attenzioni e di programmi, che si indirizzano a quella educazione alla mondialità che sempre più significa oggi anche educazione all’interculturalità e alla pace.

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