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Contraccambiamo gli auguri con questa lettera di don Tonino Bello ...
 
«Buon Natale, amico mio: non avere paura.
La speranza è stata seminata in te. Un giorno fiorirà.
Anzi, uno stelo è già fiorito.
E se ti guardi attorno, puoi vedere che anche nel cuore del tuo fratello, gelido come il tuo, è spuntato un ramoscello turgido di attese.
E in tutto il mondo, sopra la coltre di ghiaccio, si sono rizzati arboscelli carichi di gemme.
E una foresta di speranze che sfida i venti densi di tempeste, e, pur incurvandosi ancora, resiste sotto le bufere portatrici di morte.
Non avere paura, amico mio.
Il Natale ti porta un lieto annunzio: Dio è sceso su questo mondo disperato.
E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi.
Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno, e una primavera senza tramonto regnerà nel tuo giardino, dove Dio, nel pomeriggio, verrà a passeggiare con te».
 
Mi chiedo se questi auguri, formulati così, siano capaci di sorreggere
lo scetticismo degli scaltri,
il sorriso dei furbi,
la praticità di chi è pronto a squalificarti come sognatore,
il pragmatismo di chi rifiuta la poesia come mezzo di comunione.
 
Mi domando se gli auguri di Natale, formulati così,
faranno rabbia o tenerezza,
susciteranno disprezzo o solidarietà,
provocheranno discredito o impegno.
 
Mi interrogo su come saranno accolti questi auguri dalla folla dei «nuovi poveri» che il nostro sistema di vita ignora e, perfino, coltiva.
Dagli anziani reclusi in certi ospizi o abbandonati nella solitudine delle loro case vuote.
Dai tossicodipendenti che non riescono ad abbandonare il tunnel della droga.
Dagli sfrattati che imprecano contro se stessi e contro il destino.
Dai dimessi dagli ospedali psichiatrici che si aggirano come larve.
Dagli operai in cassa integrazione e dai disoccupati senza denaro e senza prospettive.
Da tutta la gente, insomma, priva dell'essenziale: la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, l'accesso alla cultura, la partecipazione.
 
Mi domando che effetto faranno gli auguri di Natale, formulati così, sui giovani
appiattiti dal consumismo,
resi saturi dallo spreco,
devastati dalle passioni,
incerti del domani,
travagliati da drammi interiori,
incompresi nei loro problemi affettivi.
 
Mi chiedo per quanti minuti rideranno dinanzi agli auguri di Natale, formulati così, coloro che si sono costruiti i loro idoli di sicurezza:
il denaro,
il potere,
lo sperpero,
il tornaconto,
la violenza premeditata,
l'intolleranza come sistema,
il godimento come scopo assoluto della vita.
 
E allora?
Meglio abbassare il tiro?
Meglio correggere la traiettoria e fare degli auguri più terra terra,
a livello di tana e non di vetta,
a misura di cortile e non di cielo?
 
Se vi dico che uno stelo di speranza è già fiorito,
è perché voglio esortarvi a recuperare un genere diverso di vita e un nuovo gusto di vivere.
È perché voglio invitarvi a stare nella crisi attuale senza rassegnazioni supine, ma con lucidità e coraggio.
È perché voglio stimolarvi ad andare controcorrente e a porre sui valori morali le premesse di un'autentica cultura di vita, che possa battere ogni logica di distruzione, di avvilimento e di morte.
 
Gesù che nasce,
è il segno di una speranza che, nonostante tutto, si è già impiantata sul cuore della terra.
Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!
 
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali.
E vi conceda la forza di inventarvi un'esistenza carica
di donazione,
di preghiera,
di silenzio,
di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità
a uno sfrattato,
a un marocchino,
a un povero di passaggio.
 
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che
la carriera diventa idolo della vostra vita;
il sorpasso, progetto dei vostri giorni;
la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
 
Maria,
che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti
a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che
lo sterco degli uomini,
o il bidone della spazzatura,
o l'inceneritore di una clinica
diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
 
 
Giuseppe,
che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne,
disturbi le sbornie dei vostri cenoni,
rimproveri i tepori delle vostre tombolate,
provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie,
fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli
senza fortuna,
senza salute,
senza lavoro.
 
 
Gli angeli che annunziano la pace
portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna, con l'aggravante del vostro complice silenzio,
si consumano ingiustizie,
si sfrutta la gente,
si fabbricano armi,
si militarizza la terra degli umili,
si condannano i popoli allo sterminio per fame.
 
I poveri
che accorrono alla grotta, mentre
i potenti tramano nell'oscurità
e la città dorme nell'indifferenza,
vi facciano capire che,
se anche voi volete vedere «una gran luce» dovete partire dagli ultimi.
Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.
 
 
I pastori
che vegliano nella notte, «facendo la guardia al gregge» e scrutano l'aurora, vi diano
il senso della storia,
l'ebbrezza delle attese,
il gaudio dell'abbandono in Dio.
 
 
E vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri:
che è poi l'unico modo per morire da ricchi.
 
Buon Natale!
Sul vostro vecchio mondo che muore nasca la speranza.
(don Tonino Bello)
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