Kenya - 16.7.2005 di Gianluca Ursini
La guerra dell'oro blu
 
La guerra per l’accesso all’acqua è arrivata al suo terzo capitolo nell’arido settentrione keniota. Nuovi scontri tribali hanno lasciato sul terreno quasi novanta morti, di cui ventidue bimbi. Si tratta del più cruento scontro tribale nella storia del Kenya moderno. Ad attaccare con machete e fucili, martedì 12 mattina, il villaggio di Turbi, abitato dalla tribù dei Gabra, sono stati membri del clan loro vicino Burana. I due popoli abitano la regione di Marsabit nel nord-est keniano al confine con l’Etiopia e vivono a cavallo tra i confini, cercando con le loro capre e cammelli acqua e terreni ancora fertili per la pastorizia, in particolare i Burana.
Questi ultimi hanno assaltato Turbi per massacrare i cugini Gabra: colpi di machete in testa ai bimbi e fucilate contro le donne che scappavano. Nel villaggio c’erano pochissimi maschi adulti. Molti sono scampati allo sterminio premeditato nascondendosi tra i cadaveri dei cari uccisi o fingendosi morti, come accaduto a Bude Wako, 35 anni, che secondo il quotidiano di Nairobi Daily Nation è rimasto 48 ore nascosto sotto una pila di corpi inanimati per sopravvivere.

“Cuore di tenebra” keniota. Decine di feriti sono stati trasportati con le jeep verso l’ospedale più vicino, allestito dalla diocesi cattolica 130 chilometri a sud, nel capoluogo di distretto Marsabit. E' lì che negli ultimi giorni sono giunti anche altri 6 mila membri del clan attaccato. Alcuni hanno perso la casa e non torneranno. Intanto si ha anche notizia delle prime ritorsioni da parte dei Gabra. Un’auto guidata da un prete cattolico è stata fermata 30 chilometri a nord di Turbi, vicino al villaggio di Sololo; il sacerdote è stato costretto ad assistere alla lapidazione dei suoi nove passeggeri, tutti Borana. Secondo la polizia altri due membri del clan sono stati uccisi giovedì 14 in diversi attacchi nella provincia. Inoltre ai 76 Gabra morti durante il massacro, si aggiungono 15 assalitori uccisi: dieci durante gli scontri di martedì, altri cinque uccisi dalla polizia mercoledì 13, secondo l’agenzia di stampa ‘Afp’. Da venerdì Nairobi ha mandato sul posto a interrompere la terza ‘guerra dell’acqua’ un reparto di duemila parà scortati da elicotteri.

Parenti serpenti. La determinazione sterminatrice dei Burana verso i cugini Gabra stupisce ancora di più se si pensa che i due clan appartengono allo stesso ceppo di origine etiope degli Oromo, gruppo nomade di cui alcune tribù sono diventate sedentarie a cavallo del confine. I due clan parlano la stessa lingua, hanno patronimici identici e si sposano tra di loro con frequenza. Ma non c’è mistero sulla causa della guerra: la condivisione delle stesse terre coltivabili sta portando a scontri periodici. “Le lotte hanno origine antica: erano prove di coraggio dei giovani delle comunità, poi degenerate in episodi di matrice politica”, ha spiegato all’agenzia missionaria ‘Misna’ monsignor Ambrogio Ravasi, vescovo della diocesi di Marabit. “Tra i motivi di contrasto tra i due clan ci sono questioni economiche per la lotta alla sopravvivenza e il controllo di pascoli in una zona semidesertica”.

Sfollati in 165mila. Secondo la organizzazione keniota Intermediate Technology Development Group l’anno scorso i conflitti tra clan dediti alla pastorizia, scaturiti dall’accaparramento dell’acqua, hanno causato lo sfollamento di circa 165 mila persone. Al 70 percento si tratta di donne e bambini sotto i 14 anni. La provincia di Turkana, la più grande del Paese, ne ha visti da sola oltre 40 mila, il numero maggiore. Ma anche Wajir con quasi 33 mila profughi e Pokot Ovest con 30 mila registrano alti numeri di ‘sfollati dell’acqua’.
“Il piano di espansione territoriale dei Burana a scapito dei ‘cugini’ è motivato dal controllo di terre semifertili”, ha detto il portavoce della ‘Croce rossa’ keniota Tony Mwangui. Sulle colline di Huri, vicino Turbi, i nomadi venuti dal nord avevano piantato campi di mais e fagioli, per mettere radici nella ‘Northern Frontier region’, come veniva chiamata dagli inglesi. Tanto che un anno fa i politici locali avevano dichiarato di impegnarsi a Nairobi per fare “espellere gli immigrati illegali venuti dall’Etiopia”. La lotta per l’acqua sta diventando la norma in regioni di anno in anno più aride, a causa del cambiamento climatico. “Di solito si facevano fino a dieci chilometri per procurarsi 20 litri d’acqua, sotto il sole a picco e con temperature sui 35 gradi. Si partiva all’alba per tornare col buio. Si poteva stare via intorno alle dieci ore”, così lo scrittore keniota Jillo Madida descrive il problema dell’approvvigionamento d’acqua nel suo villaggio natale, Sololo, nel nord ovest.

Poca acqua, molte armi. Un appello a impedire la proliferazione delle armi leggere nella regione è stato lanciato in settimana dal premio Nobel per la pace keniota, Wangari Maathai. “Finora c’erano state faide legate a furti di bestiame, mentre ora si lotta per il controllo dei pozzi - dice Daudi Ekuam, attivista per il dialogo alla ong Centre for Minority Rights – la violenza è stata acuita dalla facilità nel trovare armi, dovuta alla guerra tribale degli anni ’70 lungo il confine etiope. Ultimamente, poi, il conflitto nel vicino Uganda ha fatto sì che nelle regioni occidentali di Turkana e Pokot ci si procurassero armi per difendersi dai raid dei miliziani che attraversavano il confine. Dal nord le armi arrivano dai gruppi dell’Oromo Liberation Front (v. scheda conflitto Etiopia) che vogliono la formazione di uno Stato Burana e combattono il governo etiope. I Burana si sentirono discriminati in Etiopia e hanno formato una loro milizia indipendentista”.
Fino a tempi recenti Burana e Gabra erano alleati, nelle lotte pastorali che questi ultimi avevano con i Rendile, ma dall’anno scorso si erano intensificate le scaramucce tra le comunità, complicate dall’ingresso in scena di Oromo etiopi in cerca di elefanti da cacciare nelle foreste di Marsabit. I cosiddetti ‘banditi’ Oromo si sono alleati con i loro parenti Burana, inquieti per il futuro delle loro proprietà sulle colline di Huri.

Guerre dell’oro blu I e II. Le lotte per le terre fertili avevano già causato una quarantina di morti tra gennaio e giugno nella sola provincia di Marsabit. Ma il governo centrale è accusato di non fare abbastanza per risolvere i conflitti tra pastori anche in altre regioni del Paese, che hanno conosciuto casi di ‘guerre per l’acqua’. Protagonisti in febbraio erano stati gli Kikuyu e i Maasai nelle regioni centrali della ‘Rift Valley’, con una ventina di vittime. E risale a marzo l’attacco dei Murule ai danni dei Garre, entrambi clan somali. Alla fine nel villaggio di El Colicha furono contati una trentina di morti, in gran parte donne e bambini.
Secondo quanto spiegato da Daudi Ekuam al quotidiano Daily Nation, “il disarmo non è una soluzione per il conflitto, che può essere risolto solo portando in quelle aree acqua, scuole, ospedali e strade decenti (al momento ci sono solo cammelliere in terra battuta), il che ridurrebbe le dispute su bestiame e terre fertili”.
Ma a Nairobi e Addis Abeba i due governi sostengono di avere altre, ben più importanti, cose a cui pensare.