Non so esattamente dove sia il “normale”. Come dici tu, ognuno vive nel suo ambiente e ne subisce, necessariamente, anche i condizionamenti che lo fanno sentire “normale” per quel particolare contesto, qualunque esso sia. Io provo a misurarmi in un modo diverso. Non mi misuro con il contesto che mi circonda
bensì con me stesso e con ciò che ritengo giusto. Costantemente,
mi confronto con gli altri; facendo mio ciò che condivido e gettando
via, appena me ne rendo conto, tutto ciò che cessa di essere
valido ai miei occhi. Poi, tento di vivere in coerenza al risultato
del momento, che è in costante dinamismo di trasformazione-crescita.
Sono tutte queste "persone-diverse", che vengono viste come “pericolose” poiché possono toccare e far vacillare quelle certezze personali che sono proprio quelle che il sistema dove si è immersi sostiene e condivide. Queste danno la possibilità di sentirsi “normali”, accettati e condivisi ... mantengono nella persona le sicurezze necessarie per poter vivere ovattati dentro al sistema stesso. Il paragone che citi della Torraccia, all'epoca degradata periferia romana, è giusto … le motivazioni ad intervenire lì furono le stesse che mi hanno portato ad occuparmi poi dell’emergenza sanitaria in Italia (settore allora più che mai dimenticato) e poi ad andare … fino ad approdare in Africa. Tutto questo è il “razionale”, che può “giustificare” ma non eliminare i "sentimenti" associati agli eventi. I sentimenti che si provano
e con i quali ci si deve confrontare. Questi sentimenti, talvolta sono
belli (la gratitudine, la gioia della condivisione, l’avventura
di nuove esperienze umanamente ricche, … ) e ti confermano la
giustizia e la validità delle scelte fatte. Altre volte, sono
meno simpatici (l’indifferenza, la superficialità, gli
egoismi, il sentirsi rifiutati, …) e ti fanno provare come effettivamente
non è facile “sentirsi una goccia in mezzo all’oceano”.
Tutti siamo chiamati a giocare la nostra partita. In tanti si ritirano con le giustificazioni più assurde e sono tutte "cazz...", come dici tu. Altri ci provano e magari riescono anche a giocare anche bene, senza rendersene conto (come te), perché sono giudici troppo severi di se stessi e non sanno essere sufficientemente umili di “accettarsi” con i propri limiti ed errori. Riconoscono gli errori e si condannano. Dovrebbero condannare l’errore, ammesso che lo sia veramente, ma sempre astenersi dal giudicarsi, lasciandolo fare solo al Padre Eterno che, grazie a Lui, non usa certo i nostri metri di misura. Non è “mortale” il singolo
peccato; lo è la sua accettazione-condivisione, fino a farne
uno stile di vita contrario all’Amore. Mi parli di eventi che hanno condizionato …; e non credo che la vita comoda ti abbia travolto, visto che continui nella disponibilità ad aiutare e ad accogliere l’altro. Tutti abbiamo fame di ascolto e comprensione, in altre parole di Amore, ed è proprio quando ci rendiamo conto, avendola provata sulla nostra pelle, questa fame che dobbiamo maggiormente essere pronti a sfamare gli altri, specie chi ci è più vicino o ci sembra abbia maggior bisogno. |
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