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Ci volle qualche minuto prima che i miei occhi, abbagliati dal sole della savana, si potessero adattare al buio della capanna. In compenso il luogo era decisamente fresco, anche se non ventilato, era profumato dal consueto odore dei piccoli vitellini conviventi nella tipica abitazione di questa gente nomade. Ci volle ancora una manciata di secondi prima di poter scorgere quel misero corpo, sdraiato e seminudo, che ricordava ancora le sembianze umane.

Anche il bracciale della pressione, posizionato al minimo, era abbondante per quel braccio. Era cosciente e lucido. Ha ascoltato in silenzio il diniego dei familiari alla nostra proposta di ricovero, che ritenevo necessario per il gravissimo stato di denutrizione e di disidratazione. La loro dignità non accettava altre "elemosine". La stoica rassegnazione agli eventi … Da due giorni continuo a pensarlo. Non so se il loro cibo tradizionale, latte e sangue mescolati, è riuscito a ridargli la necessaria energia. Una vita, certo, lunga per questi contesti, che si spegne lentamente come una candela consumata, resta, comunque, inaccettabile.

Mi sento colpevole, non ho saputo convincere. Così continua il perfido gioco della scommessa con la morte. Si può vincere e vivere, o perdere e morire, per pochissimi e fottutissimi scellini … la vita sta nella differenza tra l’averli ed il non averli. Questa gente non li ha.