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Radio RTL intervista a SOS-K in Somalia-Natale

"Le condizioni di vita della popolazione a Mogadiscio"
 
SOMALIA - MOGADISCIO: la situazione ...

Mogadichu (2003-2004)

Circa tre ore di volo seduti raggomitolati in un piccolo rumoroso aereoplanino decollato all’alba da Nairobi, ed ecco il paradisiaco spettacolo. Il fantastico susseguirsi dei colori del mare: blu intenso, azzurro che sfuma nel verde smeraldo, la linea bianca variegata dall’infrangersi dei flutti ed ecco la spiaggia bianca e dorata con le prime isole di vegetazione verde.

Mogadichu, vista dall’alto nasconde gli orrori della sua guerra e si presenta come un insieme di costruzioni delimitate da strade ortogonali come fosse un vasto villaggio di sabbia costruito per gioco sulla spiaggia. L’aereo continuando la sua discesa vira dapprima verso la costa poi, ancora virando, si allinea alla spiaggia. Non è chiaro dove atterrerà e solo l’occhio esperto del pilota identifica una sorta di pista di sabbia battuta, ove avverrà la toccata finale.

Il breve rullaggio, dopo l’intensamente polverosa toccata, porta l’aereo a fermarsi in prossimità di una fatiscente costruzione. Poco lontano, due container sovrapposti, affiancati da un’antenna che li collega tramite un cavo ciondolante, sono la torre di controllo. Scendendo la scaletta dell’aereo, il caldo si fa subito sentire e lo sguardo necessariamente cade su di una “tecnica”. Presto ci si accorge che non è la sola presente. Sostanzialmente è un fuori strada ove sul cassone posteriore è stata piazzata una grossa mitragliera governata da un uomo in piedi che vi sembra aggrappato.

Le brevi presentazioni con chi è venuto ad accoglierci e quindi si prende posto su di un fuoristrada ove nel cassone posteriore salgono quattro miliziani armati con gli mk45, più noti come calaschnicof, ed un lanciarazzi non certo di piccole dimensioni. Ciò che colpisce di quelle armi è la loro lucentezza che le fa ritenere nuove di zecca. Il che crea contrasto con qualunque cosa, auto incluse, che, arrugginite e consunte, sono presente nel panorama che ci circonda. Difficile non pensare di trovarsi sul set di uno di quei tanti realistici film di guerra. Pochi colpi di clacson ed ecco comparire l’ultimo uomo armato che va ad aggiungersi alla scorta; la sua faccia ancora addormentata con l’andatura incerta spiegano quel suo ritardo.

Si parte seguendo una pista accidentata che l’autista sembra scegliere momento per momento tra le tre o quattro possibili. Il mare scorre ora sulla nostra sinistra comparendo e scomparendo alla vista da dietro delle basse dune di sabbia. Incrociamo una tecnica, un vecchio camion, due auto fiat 124 talmente fatiscenti da far sembrare il loro muoversi un miraggio, una decrepita landrover 109-lunga con uomini, armati, accatastati su di lei a creare un grappolo informe. L’autista la conduce guardando tra le gambe del passeggero seduto sulla parte anteriore del tetto. Il tutto è stupefacente ed inspiegabile volendone cercare una logica. Eppure è reale.

Venti o trenta km e compaiono le prime baracche, un carro tirato dall’asino, i tipici negozi di legno e lamiere. S’intensifica il variopinto traffico d’auto, camion, biciclette e pedoni. Una fila in sosta di taxi, tutti fiat 124 arrugginiti e senza targhe, di colore che all’origine doveva essere giallo-rosso, ci fa ritenere di essere in prossimità di uno sfasciacarrozze; invece sono in attesa di possibili passeggeri. Siamo all’ingresso dell’ospedale, sulla nostra destra lo lasciamo con i taxi e voltando a sinistra superiamo il cancello del villaggio degli orfani. L’auto si ferma; trascinando il bagaglio lungo un vialetto che si snoda tra piccole aiuole di verde siamo di fronte al prefabbricato che sarà la nostra dimora.

Il prmo giro di ricognizione del complesso, è ricco di gradevoli e sgradevoli sorprese. Tutto è costantemente tenuto sotto la stretta sorveglianza armata di 58 uomini. Un piccolo esercito che non può passare inosservato. Quando si rende necessario attraversare la strada, che separa il complesso della scuola-villaggio dall’ospedale e che non è un tragitto più lungo di sei o otto metri, ci si sente improvvisamente personaggi importanti: oltre agli uomini armati che presidiano gli ingressi dei due complessi, si è circondati da quattro miliziani che ti scortano facendoti scudo intorno.

Uomini armati sono distribuiti ovunque nell’ospedale ed uno è costantemente dedicato alla tua persona e ti seguirà ovunque tu vada tenendosi a non più di due metri di distanza. Non si può evitare di sentirsi come un personaggio di valore ... posto agli arresti domiciliari. D’altronde pare che qui il sequestro di persona finalizzato all’estorsione sia lo sport nazionale praticato da tutti.

Una raffica e nessuno si scompone, mi spiegano che è solo la verifica di un’arma riparata nell’adiacente officina. E’ solo questione di intenderci e la mia curiosità s’interroga di come possano distinguere il rumore di uno sparo nemico da quello di uno di prova.

Per oggi ritengo che basti; rientro in casa e cerco di convincermi che con tutto questo dovrò convivere. Domani, vedremo e pensando a Sololo mi accorgo che forse, per certi aspetti, ...

Il silenzio, di norma, è la migliore voce davanti alla tragedia. Mogadishu, oggi, è la tragedia vivente di tutte le contraddizioni della nostra Umanità. Occorre sempre pensare globale, per poi agire nel particolare; lì dove ci si trova a vivere.

Nel pensare globale è facile vedere in Mogadishu i segni dell’Ingiustizia fattasi globale. Mogadishu fa esplodere dentro di chiunque la fame insopprimibile; l’esigenza di Giustizia. E’ il suo stato di totale anarchia, nell’apparente più completa indifferenza internazionale, in mano a bande armate che si fronteggiano da 13 anni imponendo lo stremo alla massa della popolazione. “Apparente” indifferenza internazionale. I signori della guerra, veri responsabili di questa realtà, trafficano e "girano indisturbati il mondo". I loro volti e le loro storie sono facilmente reperibili su internet e nello stesso tempo risultano imprendibili, di fatto, forse una ragione c’è. I loro traffici e l’attuale stato della Somalia, incontrollata porta aperta per qualunque cosa si voglia fare arrivare nell’interno del continente africano, sono probabilmente un interesse globale. E la sentenza, sembra essere: che rimanga così. Agendo nel particolare, Annalena, con gli altri due volontari della nostra organizzazione, non sono che l’ultime vittime trucidate in questi mesi.

Testimonio che è il senso d’impotenza ad avvolgerti e sembrerebbe vincerti. La speranza sostenuta dalla fede, è l’unica che aiuta contro ogni illogica apparenza; vince la logica dell’Amore. Testimonio che Dio c’è e che è più facile incontrarLo, come avviene in qualsiasi luogo del mondo, quando la sofferenza immensa toglie a tutto ciò che ci circonda i valori che non sono essenziali. Qui, l’immensa sofferenza è palese a tutti; è pubblica. Non è racchiusa nell’intimo, quasi ci si vergognasse ad esternarla; come avviene nella nostra società consumistica.

Ogni sguardo che ti colpisce ha un’evidentissima silenziosa implicita richiesta di disperato aiuto. Richieste irrazionali, come quelle degli occhi della mamma che stringendo tra le braccia l’inscheletrito cadaverino del suo piccolo, chiede che gli sia ridata la vita. E la sensazione d’impotenza cresce in te, assieme alla disperazione che ti accomuna a quella sconosciuta mamma ridotta a fantasma umano. La fame di giustizia esplode. Vorrebbe divenire rabbia che sfogandosi possa rasserenarti. Butteresti così fuoco su fuoco. E’ allora che sfoghi la tua violenza esternando la tua esigenza di Giustizia solo a Dio e Lo rimproveri, quasi tu fossi dio.

Qui a Mogadishu puoi provarlo in ogni istante. Sei costretto a farlo; è inevitabile farlo. Qui l’intensità della sofferenza, fisica e psichica, raggiunge le sue più alte vette e non solo nei singoli ma pressocchè in tutti.

Al colmo della disperazione, in cima alla croce anche l’Uomo-Dio ha bestemmiato chiedendo al Padre come mai lo avesse abbandonato.

Dio esiste. Dentro avverti una risposta inquietante: "Io ho mandato te".

In quello stesso momento sperimenti l’incomunicabile certezza che tutto ha una precisa logica di essere. Vivi la sicurezza che, quel “Io ho mandato te”, Dio lo ripeta ad ogni uomo. Minori egoismi e più responsabilità nella coerenza a questo preciso mandato, consentirebbero di udire il grido dei disperati che chiedono giustizia.

“Io ho mandato te; qualunque cosa tu faccia ed ovunque tu ti trovi a vivere”.

Mogadishu non è l’Africa gioiosa, che si è soliti incontrare anche quando questa è colpita dalle calamità naturali. Qui la calamità è di natura umana. Ha tolto la Pace e con essa uccisa la gioia di vivere tipica dell’africano che si esprime nelle costanti danze e canti.

Noi non giudichiamo; ma costatiamo la realtà. Non è’ vero che ci resta solo da piangere; non ce ne sarebbe neppure il tempo. E’ vero, siamo a Mogadichu in uno stato di completa anarchia in mano a bande armate guidate dai famosi “signori della guerra”. Guerra cronica, che dicono “civile”. Tanto civile che, ad oggi, sono già quattro i morti tra i partecipanti agli incontri, che si svolgono a Nairobi, per definire un nuovo governo nazionale provvisorio che possa condurre la Somalia alla pace ed alla sua ripresa.

Queste donne, ed ancora di più questi inscheletriti bambini dai grossi pancioni, che colpa ne hanno? E’ intuibile il perché i loro mariti e padri scelgano il rischio di morire nel mediterraneo sognando le spiagge di Lampedusa, piuttosto del certo destino che li aspetta nel restare qui. Perché scandalizzarsi solo per quelle morti? Scandalizziamoci anche per quelle morti e per queste morti qui. Basta vedere da dove partono. Sono consapevoli di ciò che li aspetta; ed ancora ben più conoscono ciò che vi è qui; nulla non potrà mai essere peggio. Ad ogni angolo sì tocca con mano quanto l’ingiustizia globale sia regina. Eppure la ricetta dell’Amore, esiste da sempre. Tutti la riconosciamo valida, anche se a malincuore siamo disposti a pagarne il prezzo.

Qui c’è anche chi decide di non partire. Qui ho incontrato anche chi lavora dedicandosi autenticamente ai bisogni degli altri. C’è anche un medico che io ritengo un “santo mussulmano” che agisce con passione dando se stesso. Sono i nostri politici, “i signori del mondo”, che noi ci scegliamo eleggendoli, quelli che potrebbero veramente cambiare le regole.

Noi, gente comune dovremmo coralmente far sapere loro che siamo disposti a “globalizzare la povertà”. Che ci va bene divenire tutti un po’ più poveri. Saremmo, comunque e sempre, oggettivamente ricchi e forse un po’ meno turbati. Ci consolerebbe il sapere che, globalizzando la povertà, in molti avrebbero la possibilità di una vita più dignitosa ed … umana. Si smettesse, finalmente, di spingerci in ogni modo a farci credere nei miraggi di un “ben essere” che serve principalmente a sostenere un preciso sistema di consumi a vantaggio di pochissimi. Consumismo momentaneo, ed effimero; legato a mode che devono vorticosamente inseguirsi per bruciare il mercato. Risultato: siamo infelici per l’irraggiungibile “ben essere” ed ancora infelici anche nel “ben avere”.

Quest’ultima infelicità è però la prova provata che ancora siamo coscienti di avere la ragione ed il cuore. E’ palese a tutti la sofferenza di circa l’80% degli abitanti di questa fragilissima navicella spaziale, che è la nostra terra, e della quale noi, il solo 20 % degli abitanti, ci accaparriamo l’oltre 83 % delle risorse disponibili.

Ognuno, sia noi sia loro, deve poter scegliere in libertà: essere od avere. Il nostro stile di vita ci ha portato all’emergenze planetarie. Non imponiamolo anche a loro come fosse l’unico modello possibile. La scienza, quella vera, e le sue applicazioni tecniche finalizzate al bene collettivo, secondo corrette scelte politiche altruistiche, sono certo in grado di darci soluzioni alternative. Una tecnologia che applica le scoperte scientifiche a fin di bene e non solo ai fini di potere economico e di guerra. Sogno utopistico? No, fatto di Cultura. Le storie terroristiche le conoscono tutti. Ripetercele serve per creare una Cultura che porti con sé il disprezzo dell’odio e avvalori la “mentalità della solidarietà”. Questa Cultura può responsabilizzare e forzare gli occupanti delle stanze del potere a fare qualcosa di più rispetto a noi comuni cittadini di strada.

Da giovani si è subito pronti a lottare in ogni situazione; poi si inizia a farlo solo quando si ritiene che ne valga la pena; quindi arriva il momento nel quale sembrano non più essercene di tali momenti. Questo è il momento cruciale. Questo è il vero momento della saggezza. Questo è l’autentico momento dell’azione. Sentendo le nostre forze diminuire, si sanno riconoscere i veri bersagli da raggiungere e si può indicarli ai giovani. Ecco perché, nella logica del “pensando globale ed agendo nel particolare di dove si vive”, mando a chi è giovane anche questo messaggio, come io fossi un naufrago, chiudendolo in una bottiglia che affido all’oceano dell'Amore.

"Le condizioni di vita della popolazione a Mogadiscio" 2003-2004

Mogadiscio, una volta era la “perla dell’Africa”, oggi è qualcosa di peggio di un “girone infernale”, “un buco nero”, che sembra non avere più financo la forza per implorare di non essere ulteriormente dimenticata da chi potrebbe aiutarla.

SOMALIA - MOGADISCIO: la situazione ...

Somalia 2004

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Ritorno a Mogadiscio - aprile 2005- di Laura Mezzanotte da "Africa"

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